Storia dell’olio ibleo - Da coltura a cultura

Buon­gior­no a tutti,

ecco­ci all’ultima pun­ta­ta del­la nostra bre­ve sto­ria dell’olio ibleo.

Nell’arti­co­lo pre­ce­den­te abbia­mo visto come buo­na par­te del­le noti­zie sul­la col­ti­va­zio­ni di oli­vi nel­la zona di Chia­ra­mon­te ci deri­vi dai regi­stri sul­la tas­sa che veni­va appli­ca­ta alla pro­du­zio­ne di olio, isti­tui­ta nel 1638. Il decre­to con cui si sta­bi­li­va il tri­bu­to docu­men­ta anche l’arretratezza dei siste­mi di estra­zio­ne in uso all’epoca; si pre­ci­sava infatti:

[D]oversi paga­re la tas­sa sul­l’o­lio tan­to se sia sta­to mani­fat­tu­ra­to nei trap­pe­ti al tor­chio, quan­to ne sia sta­to cava­to con i piedi.

Quest’usanza scom­parve alla fine del seco­lo XVII. Pro­se­guì inve­ce fin oltre la secon­da metà del ‘900 la pes­sima abi­tu­dine di accu­mu­lare le oli­ve rac­colte in gran­di con­te­ni­tori (det­ti “cami­ni”) e di lasciar tra­scor­rere parec­chi gior­ni pri­ma di pro­ce­dere alla moli­tura; i fran­to­ia­ni era­no infat­ti per­sua­si che il riscal­da­men­to e la fer­men­ta­zio­ne del­le oli­ve con­sen­tis­se­ro l’estrazione di una mag­gio­re quan­ti­tà di olio. Il risul­ta­to era inve­ce che, a cau­sa del depe­ri­men­to dei frut­ti, si pro­du­ce­va un olio carat­te­riz­za­to da aci­di­tà mol­to alta e cat­ti­vo sapo­re; lo segna­la­no per esem­pio l’abate Pao­lo Bal­sa­mo nel Gior­nale del viag­gio fat­to in Sici­lia (1808) e suc­ces­si­va­mente il baro­ne Cor­rado Mel­fi in Gli uli­veti del ter­ri­to­rio chia­ra­mon­tano (1926).

Un altro fat­to­re che ha influen­za­to nega­ti­va­men­te la col­tu­ra del­la Ton­da iblea, cul­ti­var spe­ci­fi­ca del­la zona di Chia­ra­mon­te, è l’alternanza nel­la pro­du­zio­ne: un’annata di “cari­co” (in cui cioè gli oli­vi frut­ti­fi­ca­no abbon­dan­te­men­te) è pun­tual­men­te segui­ta da una di “sca­ri­co” (in cui l’impegno del­la pian­ta è diret­to all’incremento del­la vege­ta­zio­ne). Que­sto anda­men­to, tipi­co dell’ulivo in gene­re, è mar­ca­tis­si­mo in que­sta varie­tà, tan­to che fra i seco­li XVII e XVIII era pre­vi­sto che i nume­rosi lega­ti testa­men­tari in olio del­la nostra zona fos­sero sod­di­sfatti non annual­mente, ma “alte­rius annis ut vul­ga­ri­ter”, un anno sì e uno no.

Se si tie­ne con­to anche del­le ridot­te dimen­sio­ni dell’areale in cui que­sta oli­va pro­spe­ra, pra­ti­ca­men­te solo nell’altopiano ai pie­di di Chia­ra­mon­te Gul­fi, si com­pren­de come pos­sa esse­re acca­du­to che negli anni ’70, men­tre in tut­ta Ita­lia il con­su­mo di olio extra­ver­gi­ne rischia­va di esse­re sop­pian­ta­to da quel­lo dei più sva­ria­ti oli di semi, nel­la nostra zona vasti appez­za­men­ti col­ti­va­ti a oli­vo veni­va­no tra­sfor­ma­ti in agrumeti

Tut­ta­via, a par­ti­re dal secon­do dopo­guer­ra, gra­zie anche alla sco­per­ta e all’uso degli anti­crit­to­ga­mi­ci, la situa­zio­ne ha comin­cia­to a cam­bia­re; nel 1970, un uomo di gran­dis­sima com­pe­tenza gastro­no­mica, Lui­gi Vero­nelli, sen­ten­ziò nel­la sua Gui­da all’Italia pia­ce­vole:

A Chia­ra­mon­te Gul­fi si pro­du­ce olio d’o­li­va, di fran­to­io, di ecce­zio­na­le bon­tà. Gial­lo dora­to, è come per­cor­so da bri­vi­di ver­di, qua­si nul­la l’a­ci­di­tà. Lo giu­di­co il miglio­re dell’isola.

Seguì, nel 1982, la pri­ma fie­ra dell’olio d’oliva, l’individuazione di Chia­ra­monte tra le cit­tà dell’olio, il rico­no­sci­mento del­la Deno­mi­na­zione d’Origine Pro­tetta, sot­to­zona Gul­fi, l’istituzione del Con­sor­zio di tute­la del DOP Mon­ti Iblei. A que­sto per­cor­so isti­tu­zio­na­le si è affian­ca­to un cre­scen­te patri­mo­nio di cono­scen­ze, che inve­ste que­stio­ni cen­tra­li come le tec­ni­che di irri­ga­zio­ne e lot­ta anti­pa­ras­si­ta­ria; l’epoca più oppor­tu­na per la rac­col­ta; i tem­pi da rispet­ta­re fra que­sta e la spre­mi­tu­ra; i mac­chi­na­ri più ade­gua­ti per la moli­tu­ra e lo stoccaggio.

Nel giro di vent’anni, Chia­ra­mon­te e la ristret­ta area voca­ta alla col­ti­va­zio­ne del­la Ton­da iblea sono diven­ta­te un pic­co­lo para­di­so dell’olivicultura. A testi­mo­niar­lo ci sono i trion­fi dell’olio pro­dot­to dal­le azien­de chia­ra­mon­ta­ne, che a caval­lo fra il 2000 e il 2010 si sono aggiu­di­ca­te qua­si il 30% dei pre­mi mon­dia­li dedi­ca­ti alla pro­du­zio­ne olearia.

In con­clu­sio­ne si può dire che, se la col­tu­ra dell’olivo nel­la nostra zona ha una lun­ga tra­di­zio­ne, una vera e pro­pria cul­tu­ra dell’olio si è svi­lup­pa­ta solo negli ulti­mi cinquant’anni. In com­pen­so, abbia­mo recu­pe­ra­to in fretta.

Con que­sto ter­mi­na il nostro bre­ve viag­gio nel­la sto­ria dell’olio ibleo. Spe­ria­mo pos­sa aver­vi inte­res­sa­to; se ave­te doman­de non esi­ta­te a porcele!